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Il disastroso sistema del progetto illuminotecnico

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Oggi scrivo per parlare del progetto illuminotecnico in Italia, la relativa scarsa qualità della maggior parte delle realizzazioni e la questione del individuazione della professionalità e delle prerogative del lighting designer (di cui si era accennato un paio di articoli fa). Lo faccio dal  mio punto di vista, da progettista che per anni ha lavorato per  un produttore (e venditore) di apparecchi di illuminazione,  certamente un punto di vista critico, e spero oggettivo.

Il panorama italiano, a mio parere , presenta due principali difetti: la diffusa mancanza di cultura della luce e l’abbondanza di sedicenti professionisti della luce i cui fini sono prevalentemente determinati da logiche commerciali.

Mi spiego meglio.

La grande concorrenza di aziende produttrici di corpi illuminati ah fatto sì che, nel corso degli anni, venissero forniti servizi “gratuiti” di progettazione illuminotecnica, che in realtà si traducono in una scelta di prodotti dal catalogo aziendale, un posizionamento semplificato e, soprattutto, un bel preventivo.

In pratica lo scopo è la vendita, lo strumento il preventivo e il mezzo per arrivarci un servizio con l’apparenza di progetto. Questo “progetto” può anche essere corredato da relazioni, o condito con immagini, render e presentazioni accattivanti che possano affascinare il cliente. L’aggiunta di verifiche illuminotecniche (affronteremo in un altro articolo quanto queste possono essere uno strumento forviante) fornisce l’illusione di uno studio illuminotecnico. Per quanto l’output sia spesso di apprezzabile qualità, il discorso non cambia e la finalità resta la vendita.

Avendo lavorato come progettista e diretto un ufficio di progettazione aziendale, ho potuto ben comprendere le logiche non solo della mia parte ma anche delle aziende concorrenti, e mi sono fatto un’idea precisa.

La differente finalità tra progetto e vendita si riverbera soprattutto sull’opportunità delle scelte: un professionista è pagato per redigere un progetto e assolvere le esigenze del committente, e pertanto si adopererà per impiegare al meglio la sua capacità ed esperienza. Un progettista impiegato in un’azienda, al contrario, è pagato per concorrere a risultati di vendita e, pertanto, dovrebbe operare scelte che perseguono la convenienza commerciale (la convenienza del datore di lavoro). Per esempio, a posizionamento concluso, dovendo scegliere degli alimentatori per gli incassi nel soffitto, un professionista indipendente opterà per la soluzione più pratica, più valida da un punto di vista impiantistico e con il miglior compromesso economico;  invece un’azienda proporrà alimentatori di partner commerciali e con il prezzo più idoneo all’offerta economica che si vuole raggiungere: verranno probabilmente impiegati pochi alimentatori di maggior potenza lasciando così all’impiantista la soluzione delle difficoltà che ne derivano.

Un altro esempio frequente: se all’architetto/committente dovesse piacere un determinato prodotto funzionale, per esempio un incasso, per un motivo estetico  e questo non dovesse avere i requisiti illuminotecnici idonei alla situazione, il lighting designer che lavora autonomamente convincerà il committente ad utilizzare un altro prodotto (ne va del risultato del suo lavoro e della sua firma), mentre il professionista alle dipendenze di un’azienda cercherà di assecondare, per quanto possibile, le scelte del committente.

In altre parole, perchè quello che è definito erroneamente da alcune aziende lighting designer, dovrebbe ammettere al committente che il catalogo dell’azienda non fornisce i prodotti giusti rischiando così di far perdere al proprio datore di lavoro un’opportunità commerciale?

Con ciò non intendo scagliarmi contro le aziende e le loro attività. Dobbiamo pur concedere a un venditore di trovare i modi per vendere; anzi, ora come ora, considero le aziende vittime di se stesse che in molti casi vorrebbero poter fare a meno di offrire questo tipo di servizio, ma sono costrette a fornirlo per motivi di concorrenza.

La critica che muovo non è nei confronti di una pratica, ma nel modo in cui la si propone. Definire progetto illuminotecnico l’elaborato che si offre e firmarsi lighting designer anziché, per esempio, lighting consultant, è la pratica forviante e ingannevole; è l’uso di questa terminologia che contribuisce a generare la confusione per cui non è più possibile distinguere un progetto illuminotecnico da una consulenza.

Pensate se le aziende che producono mattoni si sostituissero agli studi di architettura proponendo il progetto della vostra casa, o se i produttori di divani fornissero l’arredatore o i loro venditori  si firmassero interior designer…

Possiamo dunque chiamare questo progetto di interior design?

ikea planner

Se il cliente avesse ben chiara, come avviene in altri ambiti, la distinzione tra progetto e consulenza, starebbe a lui scegliere se consultare un architetto o farsi aiutare dall’assistenza clienti dell’IKEA.

Non voglio obbligare nessuno ad  andare da un vero professionista della luce, ma vorrei solo non ingannare chi ha bisogno di illuminare uno spazio, fornire alle persone degli strumenti per poter scegliere ciò di cui hanno bisogno. Tutto ciò passa anche attraverso l’uso di una terminologia corretta. Non ci si può spacciare per architetti, ingegneri o medici quando non lo si è, perché è illegale, mentre pare che tutti possano definirsi lighting designer.

Ma lo abbiamo già detto: in un mondo dove l’offerta è cinque volte superiore alla domanda, le aziende farebbero di tutto per vendere i propri prodotti, e il peccato in alcuni casi lo si può anche assolvere, sebbene non condividere.

Ciò che, francamente, faccio molta fatica a comprendere, è lo studio di architettura che si rivolge a un’azienda per situazioni in cui avrebbe bisogno molto più di una consulenza. Così risparmia sui costi del progettista illuminotecnico e massimizza la sua parcella? Perché non si deve confrontare con un altro professionista specializzato che possa mettere in discussione le sue scelte? Perché pensa di sapere già tutto e non ha bisogno di altri che spieghino come illuminare uno spazio?

Diversi architetti hanno competenze sufficienti per gestire un semplice progetto illuminotecnico, e infatti non si vuole obbligare nessuno ad avvalersi di un lighting designer. Perché però pensare di rivolgersi a un’azienda in sostituzione di un professionista? Come non rendersi conto che i consulenti aziendali hanno come priorità il vantaggio economico dell’azienda e questo può influire sulla qualità dei progetti?

Vorrei concludere con un aneddoto.  Fino a qualche anno fa, un architetto con un nome importante, collaborava con un produttore di corpi illuminanti a cui si affidava per i progetti di illuminazione dei suoi lavori. Dopo un po’, trovandosi sempre più deluso dalle soluzione proposte, ha cercato anche soluzioni alternative.  Finita la collaborazione con questo produttore, ha provato a rivolgersi a un rivenditore, uno di quelli che distribuisce prodotti di illuminazione ma che offre anche servizi di assistenza, tra cui (diciamo) la “progettazione illuminotecnica”.  Ebbene, nonostante questi esperti della luce fossero stati raccomandati da più persone, i risultati erano ancora più deludenti. A questo punto non restava che cambiare nuovamente, nella speranza di poter trovare la via della qualità, e fu così che il famoso architetto si rivolse a una nuova azienda che proponeva un servizio di progettazione di alto livello, con un ufficio formato da soli lighting designer!

Ma decidersi a pagare un professionista indipendente? No eh?

Giacomo
Giacomohttp://www.rossilighting.it
Giacomo Rossi, architetto e lighting designer free lance, fondatore di Luxemozione.com. Dopo anni di attività nella progettazione della luce, fonda assieme ad altri colleghi LDT-Lighting Design Team , studio multidisciplinare di progettazione della luce. Alla progettazione affianca l'attività come docente presso il Politecnico di Milano e altre importanti scuole di architettura e design. tra cui IED Istituto Europeo di Design. E' inoltre autore di articoli su riviste del settore illuminotecnico. Dal 2014 è membro del Consiglio Direttivo di Apil-associazione dei professionisti dell'illuminazione.

17 Commenti

  1. Complimenti Simone! L’ho letto tutto d’un fiato e consigliato immediatamente a tutti gli amici che si occupano di progettazione a più livelli. Spero che possa aprirsi presto anche in Italia un dibattito costruttivo su questo argomento.

    • Ciao Chiara, grazie!
      Oltre al dibattito credo che potrebbe essere efficace anche muoversi nel concreto. All’estero, e in alcuni casi anche in Italia, gli studi di lighting evitano di prescrivere prodotti di aziende che spacciano le loro consulenze per progettazione illuminotecnica. Tanto sappiamo quali sono le aziende più aggressive in questo senso; proviamo a dire ai rappresentanti e commerciali quando vengono a trovarci che con loro non ci vogliamo lavorare. Secondo me il messaggio passa più velocemente! Cosa ne pensi?

      • Non prescrivere, non far entrare gli agenti in studio e soprattutto informarsi. Plda ha degli accordi con le aziende produttrici. Se vogliono sponsorizzare le attività dell’associazione devono garantire un comportamento etico e non competitivo, scorretto o quel che è. Sembra (e ripeto sembra, non sono socia plda quindi non posso averne la certezza) però che queste regole non valgano in Italia. Bisognerebbe quindi partecipare di più, non solo criticare le associazioni di categoria, ma provare a crescere con loro. Almeno io ho deciso di provarci. Se ci sono riusciti altrove perché non dovremmo farcela anche qui?

      • Sì Chiara, sono d’accordo, una cosa non esclude l’altra. Le asociazioni dovrebbero essere prima di tutto un organismo utile al passaggio di informazioni, fondamentali per determinare delle scelte, ma poi occorre anche l’azione individuale. (Per inciso io mi ritengo l’esatto opposto di un santo..). Comunque ho anch’io informazioni che confermerebbero i tuoi sospetti sulle regole valide in Europa ma non in Italia.. Chissà perché qui no?!

  2. Bellissimo articolo, Simone!
    Aggiungo una riflessione ulteriore. Il cliente finale, l’utilizzatore dello spazio o dell’edificio da illuminare dovrebbe essere messo in grado di fare una scelta. Ovvero, pagare un progetto di un Lighting Designer che, come tale, è indipendente e non ha nessun interesse commerciale sugli apparecchi che prescrive. Professionista che, per svolgere il suo lavoro, richiede un incarico professionale.
    Oppure, se non vuole pagare una parcella, il cliente potrà decidere di avvalersi di un’azienda, Ma deve comunque rendersi conto che il costo della consulenza “gratuita” verrà caricato sulla fornitura dei materiali.

    • Sì Roberto, grazie del commento, forse non ho approfondito quest’aspetto, ma hai centrato il punto. Si tratta di lasciare libera scelta al cliente finale, poiché non è sempre detto che sia necessario un progettista illuminotecnico. Io, sia ben chiaro, non ho nulla contro il servizio delle aziende (non sputo nel piatto in cui ho mangiato e continuo a mangiare) e le pratiche messe in atto per poter vendere. Tutta la mia comprensione per i venditori che si affannano dentro un sistema di concorrenza fuori controllo e di cui le aziende stesse iniziano ad esserne vittime (ora faccio il consulente per piccole aziende e ti assicuro che farebbero volentieri a meno di me).
      Quello che mi fa arrabbiare non è la pratica, ma la comunicazione. Far passare per lighting design ciò che in realtà è una semplice consulenza è ciò che genera confusione. Ciò non riguarda tutte le aziende, ma molte propongono i loro servizi come equivalenti a quelli di un professionista. Questo, dal mio punto di vista, è il vero problema, assieme agli architetti che fanno finta di farsi ingannare da questo sistema.
      E sì, forse mi sono dimenticato di sottolineare che di gratis nel commercio non esiste nulla, e dobbiamo rimarcarlo perché sembra che qualcuno crede ancora di fare grossi affari con il 3×2 sui prodotti freschi del supermercato.

  3. Alla fine va quasi sempre allo stesso modo:
    il cliente ti contatta, ti riempie di informazioni su come vorrebbe illuminato il proprio locale, appartamento, negozio, centro commerciale.
    Investi il tuo tempo in viaggi verso gli architetti e addirittura gli installatori del cliente (qualcuno mi spieghi questa cosa), notti insonne per settimane e a volte anche mesi perchè al cliente devi fornire delle alternative valide, in modo tale che abbia un range di decisione più ampio in prodotti di qualità (nessuno, credo, abbia la voglia di perderci la faccia), progetti, definizione concept, render ove possibile e poi, senti sempre la solita frase del cliente:”Avevo in mano anche altre quotazioni. La tua è nettamente maggiore. Ho scelto loro, perchè mi fanno anche uno sconto cospicuo e la progettazione è gratuita”.
    Nella mente passa di tutto, soprattutto insulti a più non posso, perchè come fai a spiegare che quelle aziende seguono il procedimento da te descritto nell’articolo?

    • E’ vero, mi ero dimenticato: c’è la questione degli installatori. Perché hanno così tanto potere? Spesso anche più delle aziende, che infatti si attrezzano per “offrire” anche questo servizio proponendo un loro installatore di fiducia. A questa domanda non sono ancora riuscito a rispondere.

      • Caro Simone e Cristian
        sono, o per lo meno, ero un installatore
        ho lavorato per 40 anni nel mondo dell’illuminazione
        io ho smontato e rimontato proiettori teatrali e non in tutto il mondo
        ( non credo voi l’abbiate mai fatto )
        ho lavorato con molti Direttori di Luci, Direttori di Fotografia, Scenografi e da loro ho appreso sul campo, ripetosul campo, le magie che le luci possono creare, come far risaltare un particolare
        ho lavorato sempre come installatore nel mondo dell’auto, nel mondo del teatro, nel mondo della televisione ed in quello dei musei
        ho progettato impianti di illuminazione e audio nei Teatri Sovietici nei musei Polacchi e Musei in Germania, Giappone, Cina, in America
        sono pur sempre un installatore
        non ho una Laurea e neppure un Master
        sono semplicemente un autodidatta
        credo che come me ce ne siano altri e magari molto piu bravi
        Quindi non credo sia giusto criticare un installatore in quanto tale, solo perchè non ha Laurea o Master
        Andate sul campo e li potrete conoscere il vostro ” AVVERSARIO ”
        Non ho mai criticato il Vs valore e non spetta a me giudicarlo
        Dimenticavo_Ho suggerito al cliente in occasione dell’EXPO 2015 che si era rivolto ad un noto light designer inglese ( ha curato il matrimonio di George Clooney per dirvi quanto è famoso ) come migliorare il suo progetto illuminotecnico.
        sapete come è finita ?
        Il light designer ha scelto la mia idea ed ha cancellato la sua

        in fede un installatore

  4. Caro Simone,
    sono d’accordo su tutto quello che dici! Grazie per la divulgazione di questi temi.
    La vendita condiziona fortemente il passaggio illuminotecnico nella progetazione.
    La questione complessiva andrebbe approfondita, è questo che cerco di fare.
    Per esempio:
    Qual’è il peso della attenzione alla luce artificiale nel progetto architettonico?
    Perché in Italia non si impone la figura del Lighting designer?
    Qual’è la formazione degli operatori dell’illuminazione?

    Sono tante le domande che mi piacerebbe discutere con te.
    A presto.

    Francesco Ciulli

  5. La disamina che hai effettuato della realtà italiana è corrispondente al vero. Purtroppo è estremamente difficile far prendere coscienza alle persone dell’importanza della qualità della luce destinata alle loro abitazioni, ai luoghi dove lavorano ecc. Ci si scontra quotidianamente con una profonda mancanza di cultura dell’illuminazione. E questa è una delle condizioni necessarie affinché emergano delle figure realmente competenti. Da commerciante che, pur dovendo far quadrare un bilancio a fine anno, rifiuta spesso le imposizioni di acquisto da parte delle aziende per mantenere una certa libertà nel proporre il prodotto che ritengo più adatto, ti assicuro che è una sfida invitante che portiamo avanti quotidianamente ma è molto molto difficile cercare di “educare” le persone all’importanza della luce e far percepire le differenze tra tipologie diverse di illuminazione. Del resto basta guardare le finestre illuminate delle abitazioni la sera per scoprire che c’è chi mangia con una luce quasi blu sul tavolo. E non sempre sono quelli che si possono permettere solo le lampade Ikea, anzi, a volte questi ultimi sono più attenti di altri.

  6. Molto probabilmente gli architetti e gli ingegneri sono ben consapevoli dei legami commerciali legati a doppio nodo fra le aziende di illuminazione e le loro ‘pseudo’ consulenze. Spesso la loro è una scelta consapevole e figlia anch’essa di interessi commerciali neppure tanto velati.
    La condivisione del sapere è la base dell’arricchimento della collettività ma una parola assolutamente assente in quasi tutti gli studi professionali che ho visitato negli anni. Confidiamo in una cultura nuova del sapere fatta di merito e confronto…
    Idealista? Forse…

  7. Modesta proposta: proviamo a vederla da due punti di vista diversi.
    Quello del progettista e quello del decisore.
    Ovviamente, secondo il mio vedere, non essendo io stato mai in nessuno dei due ruoli .

    Per il progettista ( attenzione, non ho detto solo architetto) l’eco di mondi lontani porta solo la conoscenza di qualche marchio: parliamo quindi di prodotti, non di servizi.
    Nomi percepiti vagamente in qualche modo, tanto più se parliamo di luce progettata, commensurabile, spesso non decorativa, dove, concorderete, coi produttori italiani siamo pure abbastanza messi male.

    L’investimento di fiducia si dà sulla base di identità riconosciute ( e crediti conseguenti) che solo in minima misura vanno a chi progetta, ed invece in gran parte arrivano a chi l’hardware lo costruisce, non a chi lo progetta, o ne progetta il corretto impiego.

    Per il decisore, poi, vale quanto appena detto per il progettista, con la briscola aggiuntiva del budget: uno spirito di emulazione e comparazione, reale ed animale, con i propri investimenti precedenti, e con quelli del vicino di casa, o del concorrente, porta a stabilire priorità di costo che spazzano via tutte le migliori intenzioni.

    Su questo, mi piacerebbe, davvero, tanto, lasciar fuori il mondo dei progettisti ( io non sono un progettista) da un esame di coscienza indispensabile.
    Ma proprio non lo so, se posso.

    Un esempio. Chi è che ha permesso il crollo dei costi al metro quadro sui progetti commerciali?Siamo sicuri che sia solo tutta colpa di X o Y ( nomi di aziende di produzione italiane a vs. scelta)?

    Un altro. Continuiamo a prendercela con Ikea perché vende una sospensione alogena a 20 euro o vediamo di capire come sta cambiando il mercato?

    Per mia opinione, la percezione del cliente è che un termosifone non influenzi un ambiente meno di una lampada.
    .Un termosifone, magari di una marca buona, posso comprarlo dall’impiantista, o da un grossista, o da chi mi pare.

    Morale? Dobbiamo, noi, tutti, in questo bar, piantarla di attribuirci potenzialità di efficacia ( o, più brutalmente, di value for money), nel processo architettonico.
    Attenzione.
    Non perché non ci siano, in fieri. Riponete i kalashnikov.
    Giusto perché troppo pochi sono disposti a riconoscerlo, lì fuori.

    Ce n’è, quindi, di strada da fare.
    Sis felix.

  8. Ciao, sono pienamente d’accordo. E questo succede a tutti i professionisti tecnici. Chi deve fare dei lavori spesso va direttamente dall’impresa o dal fornitore, ma non considera che magari se si spende 2-3 mila euro per un tecnico bravo, questo te ne fa risparmiare 3 volte di più. Quindi andare da un tecnico non è una spesa ma un guadagno.

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