HomeINTERVISTEIl lightpainting come strumento di racconto, intervista a Felicita Russo

Il lightpainting come strumento di racconto, intervista a Felicita Russo

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Quando si parla di light-painting  (disegnare con la luce) è immediato il rimando alle sperimentazioni dell’uso del medium fotografia più luce artificiale, condotte tra gli anni ’30 e ’50 del secolo scorso da fenomenali artisti quali Man Ray e dall’accoppiata Picasso-Gjon Mili. Il primo con un una serie di auto scatti intitolati “Space Writing” (ManRay 1935), in cui si immortala, con una macchina fotografica dall’otturatore completamente aperto, nell’atto di disegnare nello spazio con una piccola torcia. Mentre più conosciute sono le serie note come “Light Drawings”, nate nel 1949 dal lavoro congiunto tra il fotografo Gjon Mili e Pablo Picasso.

Stiamo parlando di prime applicazioni, nell’ambito delle arti, dell’uso della luce artificiale, elemento che racchiude una dualità intrinseca di tecnica ed emozione (Lux+Emozione). Oggi questa tecnica si è evoluta assieme alla tecnologia, sia della fotografia digitale, che d’illuminazione con i LED, dando vita ad un filone di fotografia artistico-sperimentale noto come lightpainting.

Venendo al punto di quest’articolo, nel mio girovagare alla ricerca di elementi interessanti d’ispirazione da pubblicare proprio qua su Luxemozione, ho scoperto il lavoro di una bravissima fotografa sperimentale, Felicita Russo, che ha saputo raccogliere nel proprio lavoro di ricerca una perfetta sintesi tra tecnica ed emozione. Ho deciso dunque di intervistarla, per farmi raccontare della propria esperienza. Molto interessante davvero. Per maggiori info rimando al sito di Felicita Russo

Felicita russo autoritratto
Immagine in header: Autoritratto – cortesia Felicita Russo

Ecco dunque cosa mi ha raccontato

GR: Ciao Felicita, sono andato a sbirciare il tuo profilo, leggo atmospheric physics researcher, definizione che mi incuriosisce molto . Mi vorresti raccontare di te, della tua formazione e i momenti salienti del tuo percorso professionale ed artistico?

FR: Salve Giacomo, innanzitutto voglio ringraziarti per la domanda. Tutta la storia, che come immaginerai include sia la mia formazione che il mio percorso artistico che da sempre sono intrecciati fra loro, comincia da quando ero adolescente. Sin da piccola avevo un dono: mi piaceva disegnare. Disegnavo ovunque ci fosse un foglio bianco, persino sull’agenda telefonica di mia madre (la quale forse non ne era molto contenta ma quasi mi lasciava fare). Quando ero alle scuole elementari e medie avevo chiaro in mente che avrei voluto seguire questa passione, imparare a dipingere, ma quando è arrivato il momento di scegliere una scuola superiore il mio desiderio di andare al liceo artistico non fu ben visto dai miei genitori, che avrebbero preferito che studiassi almeno al liceo scientifico (visto che ero brava in matematica dalle elementari) e così ho fatto.

Durante gli anni del liceo, nel 1986, la cometa di Halley passò al perielio e mio padre ci portò all’osservatorio astronomico di Capodimonte, dove il soci dell’Unione Astrofili Napoletani (UAN) organizzavano osservazioni della cometa al telescopio, cosa che non fu peraltro possibile quella sera per il cattivo tempo. Ricordo che quello fu il momento esatto in cui m’innamorai dell’astronomia, entrai quindi in contatto con l’UAN e cominciai la mia esplorazione dell’Universo frequentando uscite fotografiche astronomiche ogni volta che potevo.

La cometa di Halley
Foto Cometa di Halley. Immagine cortesia © NASA

Grazie a loro imparai a sviluppare e stampare in bianco e nero in casa. Divenne una sorta di ossessione per me, l’Universo aveva un grandissimo fascino tanto da farmi scegliere di proseguire gli studi dopo il liceo e frequentare il corso di laurea in Astrofisica all’Università Federico II e in seguito il dottorato di ricerca in fisica dell’Atmosfera all’University of Maryland Baltimore County, a Baltimora negli stati Uniti.

Parallelamente ai miei studi di fisica e astrofisica, con l’aumentare della consapevolezza sulla natura della luce cominciai ad avvicinarmi al lightpainting. Inizialmente il lightpainting era un modo “alternativo” di illuminare nature morte, poi divenne ben altro. Ed ora con il mio “ritorno” alla polaroid il mio lightpainting è diventato a pieno titolo il modo in cui io mi esprimo fotograficamente.

GR: Mi puoi raccontare, se esistono, degli elementi o personaggi del passato e del presente che hanno ispirato particolarmente la tua attività creativa e di ricerca?

FR: Sicuramente il primo che mi viene in mente è stato Man Ray, avendo cominciato a sperimentare con i rayogrammi nella camera oscura quando ero adolescente, ma restarono semplicemente degli esperimenti, senza mai ricevere da me le attenzioni che meritavano. Un po’ dovuto anche alla mancanza di cultura fotografica che avevo nella mia adolescenza, presa come la maggior parte dei ragazzi di quell’età, da innumerevoli inquietudini interiori che mi distraevano dallo “studio” dell’arte e dall’approfondire la fotografia oltre il mezzo tecnico. In questo mi è mancata molto la formazione artistica, che è arrivata per me in età molto più avanzata.

Man Ray Rayogramma
Un esempio di Rayogramma o Rayografia realizzato da Man Ray ad inizio del ‘900.

Di sicuro nel momento il cui a 26 anni mi sono trovata ad avere il mio primo lavoro di ricerca (ero assistente alla ricerca a UMBC) e ad essere economicamente indipendente, mi sono sentita un po’ più libera di “guardare” ciò che altri fotografi hanno fatto.

Una persona che ha influenzato fortemente il mio incontro con la polaroid è stata Kathleen Thormond Carr. Grazie ai suoi libri “ Polaroid Manipulations” e “Polaroid tranfers” comprai la mia prima folding polaroid Sx-70. Una vera e propria rivoluzione per me, un cambio di paradigma che mi spinse anche a sperimentare tecniche alternative in camera oscura, come costruire una camera stenopeica e fotografare con pellicola infrarossa. Quello fu un momento molto creativo per me.

Polaroid_SX-70

GR: Vorrei soffermarmi sulla tua passione per il lightpainting, mi vuoi raccontare nel dettaglio di quest’aspetto?

FR: L’interesse per il lightpainting per me comincia intorno al 2007, quando finisco gli studi negli Stati Uniti e torno in Italia. Vinco un concorso da ricercatore precario al CNR di Potenza e acquisto la mia prima reflex digitale. Un giorno ero in visita a casa dei miei genitori e provai a creare un piccolo stop motion, era affascinante per me come in pochi minuti si potessero creare decine di immagini che poi potevano facilmente essere montate in sequenza per generare un video. Così cominciai a cercare su youtube quali tipi di stop motion facessero gli altri e scoprii un filone di video stopmotion con lightpainting che mi colpì moltissimo.

L’idea di creare “cose” con delle semplici luci LED mi affascinava tantissimo e da lì è partita l’esplorazione. Quando ho “incontrato” sui social altri artisti con la stessa passione, allora questa è letteralmente decollata. Il fatto solo di poter acquistare strumenti prodotti appositamente per il lightpainting è stata una fonte inesauribile di motivazione a provare nuove tecniche e quando finalmente ho trovato un tema che mi ha ispirato, e delle persone che potessero aiutarmi, allora è nato il progetto “Bologna: Racconti con un fil di luce”.

GR:In particolare sull’aspetto tecnico, in che modo la fotografia digitale ha cambiato o sta cambiando il tuo modo di approcciarti a questa tecnica d’espressione?

FR: Da questo punto di vista in realtà temo di aver fatto il percorso inverso. Io ho cominciato a fare lightpainting esclusivamente in digitale. Col senno di poi la capacità di vedere subito l’immagine che si è prodotta è di grandissimo incoraggiamento ad avvicinarsi questa tecnica. Diversamente non poter vedere subito il risultato sarebbe potuto essere un grande ostacolo e avrebbe sicuramente richiesto una maggiore dedizione che non tutti hanno. Una volta scoperte le possibilità della tecnica in digitale, anche osservando il fantastico lavoro di Brian Matthew Hart e Chris Bauer con i mosaici, ho pensato che sarebbe stato interessante usare le polaroid, storicamente usate per fare mosaici, per fare mosaici polaroid in lightpainting. Devo confessare che ad oggi ancora non ne ho fatto uno degno di questo nome, ma è ciò a cui la mia produzione fotografica degli ultimi anni mi ha preparato, ne sono certa!

Bologna: Racconti con un fil di Luce

GR: Hai voglia di raccontare ai lettori di Luxemozione di una tua opera di light painting, a cui sei particolarmente legata?

FR: Tutto il lavoro fatto, assieme ai soci dell’ Associazione Culturale Provediemozioni, della quale faccio parte, per la recente mostra “Bologna: racconti con un fil di luce” che si è tenuta a Bologna nell’ambito di ArtCity Bologna è stato davvero importante per me e per tutti i soci che a vario titolo hanno partecipato.

Tutto è partito da una uscita serale in città che avevo proposto ai soci, per vedere se fosse possibile fare lightpainting davanti ad alcune delle icone monumentali di Bologna. Dopo quella sera, a parte l’esito soddisfacente dell’uscita fotografica che ha prodotto immagini davvero piacevoli e accattivanti, le foto sono state viste dal presidente e dal segretario della Consulta Tra le Antiche Istituzioni Bolognesi e dall’associazione Succede solo a Bologna e ci è stata proposta una collaborazione per un lavoro da presentare ad ArtCity Bologna.

Il difficile a quel punto era trovare un filo conduttore che mettesse tante foto, scattate in luoghi ben precisi ai quali abbiamo avuto accesso privilegiato, ma tutti diversi fra loro, assieme in un lavoro organico. In quel periodo leggevo a mio figlio una raccolta di racconti che si chiamava la signora dei gomitoli” di Gisella Laterza, in cui una signora girava l’Italia raccontando storie ai bambini mentre con un gomitolo lavorava ai ferri un maglione. Fu così che il filo di un gomitolo si trasformò nel filo di luce che illuminava pian piano gli scorci dei quali eravamo testimoni, quel filo di luce li sottraeva all’oscurità per renderli visibili a tutti.

Ecco un video racconto della mostra Bologna: racconti con un fil di luce .

In particolare, di tutto il lavoro fotografico fatto, che ha visto la partecipazione di più persone a tutti gli scatti, che al momento include 53 immagini, suscettibili di espansione dal momento che altre istituzioni ci hanno già chiesto di essere incluse nel progetto, le foto più significative secondo me sono due.

La prima scattata sulla scalinata che porta alla cripta di San Zama, che ritrae una presenza umana seduta dietro le sbarre la quale luce riesce ad evadere dalla prigione: questa foto rappresenta la triste capacità umana a volte a perdere il lume (la guida illuminata), a segregare la luce (il bene) in una prigione, schiavi delle negatività. A me piace pensare che la luce non possa restare troppo tempo nelle segrete ma trovi a suo modo sempre un’occasione di evasione.

la luce intrappolata nelle segrete riesce ad evadere. Cripta di San Zama, Bologna.
la luce intrappolata nelle segrete riesce ad evadere. Cripta di San Zama, Bologna.

Questa foto in particolare è frutto di una idea di Viola Corinaldesi per il disegno dell’omino, in cui io ho collaborato alla scia di luce “evasa” dalla prigione.La parte suggestiva è che la cripta di San Zama è una delle chiese più antiche di Bologna.

Un’altra foto molto significativa è quella del filo di luce che esce da uno dei cunicoli dei Bagni di Mario. Questo è un luogo surreale, una cisterna in pietra e arenaria atta a raccogliere e portare l’acqua alla famosa fontana del Nettuno, simbolo di Bologna.

filo di luce nei sotterranei dei Bagni di Mario, Bologna.
filo di luce nei sotterranei dei Bagni di Mario, Bologna.

Una location in cui abbiamo passato ore e ore, difficoltosa per la presenza di innumerevoli pozzi e buche. Ogni cunicolo ed ogni passaggio si prestavano ad essere illuminati dal nostro filo di luce che, come l’acqua faceva una volta, sembrava scorrere via verso l’esterno.

GR: Ci sono desideri o progetti futuri che vorresti vedere realizzati?

FR: Il mio desiderio per il futuro è senza dubbio ambizioso, ma è una cosa che mi sta davvero molto a cuore. Vorrei che il lightpainting venisse preso seriamente dalla comunità fotografica, Italiana innanzitutto e internazionale poi, ma per fare questo i purtroppo ancora pochi fotografi che usano questa tecnica, e ci sentiamo chiamati in causa anche noi di Provediemozioni. Dovrebbero cominciare a porsi seriamente la domanda di cosa vogliono raccontare. Senza una storia il lightpainting rimarrà ancora a lungo quello che secondo me è adesso, ovvero un esercizio tecnico delle capacità di ognuno di noi. Io credo che possa essere invece sviluppato al di là della tecnica (che è giusto che sia il primo aspetto sul quale focalizzarsi all’inizio) come reale strumento di racconto. Mi piacerebbe che ci fosse un punto di riferimento collaborativo che riuscisse a mettere assieme tutti gli artisti Italiani per sviluppare questa tecnica e portarla un po’ oltre, e spero che l’esperienza fatta a Bologna possa fare da faro anche per altre realtà. L’Italia è piena di storie che vale la pena raccontare, e un filo di luce può andare molto ma molto lontano.

Giacomo
Giacomohttp://www.rossilighting.it
Giacomo Rossi, architetto e lighting designer free lance, fondatore di Luxemozione.com. Dopo anni di attività nella progettazione della luce, fonda assieme ad altri colleghi LDT-Lighting Design Team , studio multidisciplinare di progettazione della luce. Alla progettazione affianca l'attività come docente presso il Politecnico di Milano e altre importanti scuole di architettura e design. tra cui IED Istituto Europeo di Design. E' inoltre autore di articoli su riviste del settore illuminotecnico. Dal 2014 è membro del Consiglio Direttivo di Apil-associazione dei professionisti dell'illuminazione.

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