Le nuove possibilità applicative offerte dai LED unitamente all’evoluzione tecnologica dello stato solido registrata negli ultimi anni stanno incentivando il processo di sostituzione delle sorgenti luminose convenzionali, sia per l’illuminazione generale che per quella d’accento.
[Foto in header by alex kotliarskyi su unsplash]
Come si sa, la caratteristica principale del Led è un’emissione di luce direzionale generata da una superficie di dimensioni contenute ad alta luminanza: in aggiunta, l’offerta si articola attraverso un’ampia gamma cromatica.
Questa disponibilità apre orizzonti ampissimi ma al contempo introduce nuove problematiche.
Per valutare o misurare le prestazioni e il comfort visivo dei sistemi d’illuminazione a Led si fa attualmente riferimento agli stessi criteri e metodi utilizzati per apparecchi con sorgenti tradizionali (es. nelle installazioni tradizionali, quali uffici, scuole, ospedali, ambienti industriali, si fa attualmente riferimento all’illuminazione fluorescente diffusa).
Studi recenti hanno purtroppo evidenziato l’inadeguatezza di queste metodologie. Può infatti verificarsi che:
- il criterio è valido, ma il metodo di valutazione non lo è (es: abbagliamento, resa del colore);
- il criterio non esiste e dovrebbe essere introdotto (es: sovraccarico d’abbagliamento, binning).
Ad esempio, l’elevata luminanza in combinazione con la piccola dimensione influenza la percezione dell’abbagliamento; la combinazione di dimensioni e di piccole differenze di colore della luce emessa dai singoli led introduce un problema di coerenza nell’ambiente illuminato.
Questi temi sono oggetto della recente pubblicazione CIE TR 205/2013, un documento dal quale si evince in maniera inequivocabile che le installazioni a led richiedono un progetto che contenga necessariamente informazioni aggiuntive rispetto a un progetto che prevede l’impiego di sorgenti tradizionali.
Di seguito una disamina essenziale del documento.
Misurare la qualità
La maggior parte dei criteri di qualità adottati forniscono informazioni sulla prestazione visiva e sul disagio visivo. A questi andrebbero aggiunti ulteriori criteri di qualità per garantire le prestazioni nel tempo e il comfort di quanti fruiscono dell’ambiente illuminato.
I parametri misurabili/valutabili relativi all’illuminazione funzionale negli interni con sistemi d’illuminazione a LED sono:
- visibilità compito visivo: uniformità sul compito visivo, abbagliamento riflesso, riflessioni velanti, ombre.
- comfort visivo: abbagliamento diretto, discomfort glare, rapporti di luminanza, affaticamento visivo.
- Flicker (sfarfallìo).
- Modellazione di volti e oggetti.
- Resa cromatica, colore della sorgente.
- Consistenza del colore e del flusso luminoso, nel tempo e nello spazio.
- Percezione dello spazio: luminosità delle superfici presenti nell’ambiente, distribuzione della luce sulle superfici.
- Estetica: integrazione nel contesto (stile, dimensioni, forma, colore, etc.).
Fatta eccezione per la consistenza del colore e del flusso luminoso (nel tempo e nello spazio) tutti gli altri parametri sono già da tempo ritenuti rilevanti per l’illuminazione funzionale d’interni.
Vedi a tale scopo l’articolo sull‘illuminazione dei luoghi di lavoro
In un’installazione con led le consistenze del flusso luminoso e del colore – sia a impianto nuovo che nel corso della sua vita utile – possono penalizzare drasticamente la qualità d’illuminazione di un interno.
La combinazione di una pessima consistenza – sia di flusso che di colore – di sorgenti led di piccole dimensioni (spesso molteplici) può irrimediabilmente inficiare la qualità globale dell’installazione.
Abbagliamento
Valutare l’abbagliamento che si manifesta in installazioni con Led non è facile. Solitamente una previsione del disagio (discomfort glare) viene calcolata con l’Unified Glare Rating (UGR, CIE1995) e/o con il Visual Comfort Probability (VCP, IESNA 2000).
Entrambi fanno riferimento alla luminanza media dell’area emittente dell’apparecchio. Quest’approccio non è applicabile per la maggior parte delle installazioni a led, in particolar modo quando gli apparecchi utilizzati non presentano una distribuzione uniforme della luminanza, tipica degli apparecchi con lampade fluorescenti lineari.
Questa l’equazione generale da cui sono stati desunti i diversi indici d’abbagliamento
Nei casi in cui all’interno dell’area emittente risulta visibile il led stesso (o una matrice di led) l’abbagliamento provocabile è maggiore rispetto a quello che si avrebbe con un apparecchio d’illuminazione fluorescente della stessa dimensione e di pari luminanza media: per tal motivo gli indici UGR e VCP non sono sempre idonei a definire il potenziale abbagliamento di un’installazione.
La CIE 147 (CIE 2002) fornisce alcune formule di calcolo per sorgenti di piccole dimensioni (<0,005 m2), ma al momento non si conoscono i limiti di validità di queste formule nel caso d’impiego di apparecchi a led.
In ogni caso, studi accurati ci indicano che a parità di luminanza media equivalente il disagio da “discomfort glare” da uno stimolo non uniforme è maggiore di quello provocato da uno stimolo uniforme (apparecchio posizionato sulla linea di vista). In altre parole, la spaziatura tra i singoli led posti all’interno di un apparecchio d’illuminazione influenza la percezione dell’abbagliamento. Con il preciso intento di definire un documento specifico, la CIE ha istituito un comitato tecnico specifico “Discomfort glare by luminaires with a non-uniform source luminance”.
In merito alle riflessioni velanti, quantificabili attraverso il fattore di resa del contrasto (CRF, CIE 1981), le sorgenti piccole ad alta luminosità possono produrre – se posizionate all’interno del volume d’offesa – un CRF inferiore e quindi riflessioni velanti maggiori. Le installazioni con led possono pertanto risultare maggiormente critiche da questo punto di vista.
Ciò premesso, è innanzitutto essenziale fare una distinzione tra apparecchi nei quali i led sono visibili singolarmente o “a matrice” e apparecchi in cui non sono distinguibili: nel caso siano “comunque”
distinguibili, gli stimoli non sono uniformi e i consueti sistemi di valutazione dell’abbagliamento non possono essere considerati attendibili.
Esempi di prodotto LED con differente superficie emitente:
Per definire il confine tra stimoli uniformi e non uniformi può essere talvolta utile
valutare il rapporto tra la luminanza dell’apparecchio e la luminanza dello sfondo. Un aiuto considerevole nella previsione dell’abbagliamento può essere fornito dalle mappe di luminanza (registrazione dei valori di luminanza per una data scena vista da uno specifico punto di osservazione).
Flicker
La percezione dello sfarfallìo dipende dai parametri del driver di tipo “switching” che alimenta il sistema a led (frequenza, forma di modulazione, ampiezza in uscita, ciclo di lavoro, differenze cromatiche comprese nel periodo, etc.).
I driver dei LED possono produrre sfarfallìo e in aggiunta l’emissione spettrale può cambiare a frequenza relativamente bassa.
Una variazione eccessiva del flusso in uscita dal sistema può provocare una risposta neurologica che conduce a disturbi della visione (il dimming può produrre un aumento dell’effetto flicker).
La IES (2010) raccomanda un driver con frequenza di uscita minima di 120 Hz per evitare lo sfarfallìo percepibile, ma questa prescrizione non è talvolta sufficiente per garantire la qualità visiva.
Dato per certo che il flickering è un effetto indesiderato e in grado di penalizzare fortemente la qualità di un’installazione con sorgenti led, sarebbero necessarie prescrizioni specifiche in merito.
Ombre
Una matrice di led può produrre ombre multiple: questo effetto può interferire con le prestazioni che si vogliono ottenere in specifiche applicazioni.
Le ombre possono essere proprie o riportate, ma comunque sono – nel caso di apparecchi a led – generate dalla distanza geometrica che esiste tra i singoli Led. A tal proposito non esiste una metrica specifica, per cui può accadere di prenderne atto solo a installazione terminata.
Un approfondimento lo potete trovare in questa pubblicazione:“The Multi-shadow Analysis of LED Secondary Optics”
Consistenza del colore
Le differenze di colore tra i Led sono imputabili al processo di produzione. La mutazione del colore iniziale della luce emessa può aversi per questioni “genetiche” (i led nascono già cromaticamente diversi), dopo aver funzionato per un certo tempo (ovvero nel corso della vita utile) o sono sottoposti a dimming.
Il colore apparente del fascio di luce emesso può mostrare differenze apprezzabili e nel caso in cui i sistemi a led sono utilizzati per illuminare superfici uniformi ciò va evidentemente a discapito della qualità globale dell’installazione.
Qua un’immagine che descrive chiaramente il problema di selezione della temperatura di colore:
Per misurare le differenze di colore si è in passato fatto ricorso al sistema di discriminazione basato sulle ellissi di MacAdam.
Le ellissi di MacAdam sono descritte come “step”, ovvero “deviazioni standard”. Ad esempio, qualsiasi punto sul contorno di “1-step” o ellisse – intorno a un punto assunto come riferimento (target) – ha una (1) deviazione standard dal punto di riferimento.
Talvolta si fa lo stesso anche per i led (es. ANSI 2008), ma per descrivere le differenze cromatiche sta diventando pratica comune far riferimento allo spostamento Δu’v’ sul diagramma di cromaticità CIE 1976.
In effetti, questo è il metodo raccomandato dalla CIE.
In alcuni documenti (es. ANSI 2008) la cromaticità è specificata con la CCT e con Δu’v’, dove Δu’v’ misura la distanza dal luogo di Planck sul diagramma di cromaticità CIE 1976.
Valori positivi di Δu’v’ si trovano sopra il luogo, valori negativi sotto.
Distanza dalla BBL, esempio:
In tal modo l’informazione sulla cromaticità può essere dedotta intuitivamente:
la sorgente appare verdastra se il Δu’v’ è “troppo” positivo, rosastra se il Δu’v’ è “troppo” negativo. Assumendo che le differenze cromatiche percepite da oltre il 10% della popolazione sono inaccettabili (Narendran e altri, 2004; Herbers e altri, 2010) e facendo riferimento al diagramma CIE 1976, in linea di massima si può affermare che:
- per applicazioni dove gli apparecchi con led bianchi sono posizionati fianco a fianco e sono sulla linea di vista, o quando questi illuminano una scena acromatica, deve aversi Δu’v’≤0,002;
- per applicazioni dove gli apparecchi con led bianchi non sono visibili direttamente o quando questi illuminano una scena policromatica, deve aversi Δu’v’≤0,004.
Si consideri che a un Δu’v’=0,001 corrisponde approssimativamente il raggio di una deviazione standard (1 step) dell’ellisse MacAdam. Per informazioni più precise si consulti la Tabella1.
SDCM | Variazioni CCT (K) | Δ u’v’ |
1x | ±30 | ±0.0007 |
2x | ±60 | ±0.0010 |
3x | ±80 | ±0.0015 |
4x | ±100 | ±0.0020 |
7÷8 x (Ansi-Nema C78.37377-2008) | ±175 | ±0.0060 |
Tabella1: Dimensioni approssimative del SDCM in funzione della variazione della temperatura di colore e della distanza dal BBL.
In alcuni programmi di certificazione (es. Energy Star 2008) si richiede una variazione massima di cromaticità (se cambia la direzione di osservazione, ovvero l’angolo di visione, la cromaticità può variare) Δu’v’≤0,004 (misurata dal punto cromatico medio ponderato sul diagramma CIE 1976) e una variazione massima di cromaticità nel corso della vita del Led Δu’v’≤0,007.
Le nuove regole
I Led offrono nuove opportunità nel lighting design.
A differenza delle sorgenti tradizionali, lo spettro dei led può essere modulato facilmente: si pensi, a tal proposito, alla possibilità di rispondere alle esigenze circadiane degli utilizzatori o al controllo personale della luce.
In aggiunta, oltre alla fedeltà, altri fattori correlati alla percezione dei colori dei colori (es. preferenza, attrattiva, vividezza, naturalezza, armonia) giocano un ruolo importante nell’apparenza cromatica di un oggetto, che può essere gestita agendo sull’emissione spettrale del sistema a led. E’ dunque ipotizzabile che in futuro si dovrà far ricorso a nuovi sistemi di metrica del colore e a specifici indici per la valutazione delle prestazioni cromatiche delle sorgenti led.
Analogamente, per quanto concerne gli altri aspetti (fotometria, abbagliamento, durata, etc,), sarà necessario far ricorso a nuovi algoritimi ed eventualmente introdurre nuovi parametri di riferimento.
Conclusioni
Tutto ciò premesso, appare evidente che il progetto d’illuminazione nel quale è previsto l’impiego di Led deve contenere informazioni e calcolazioni aggiuntive, senza le quali si rischia di avere brutte sorprese. Non mancano esempi di installazioni quantomeno “discutibili”, la maggior parte delle quali sono il frutto di una progettazione incompleta (quasi sempre perché gratuita), nella quale mancano gli elementi per desumere un’eventuale mediocrità del risultato.
Completo ed esaustivo pone l’accento su scenari prossimo-futuri d’indagine .
Leggo oggi quest’articolo scritto nel “lontano” 2013 e lo considero molto attuale
Mi domando se nel frattempo ci sono state evoluzioni visto che ad oggi mi trovo
a dover configurare un impianto di illuminazione diretta e indiretta con soli strip led
e le informazioni riscontrabili nelle varie schede tecniche non contengono informazioni
se non generiche.
Se c’è qualcuno che può indicarmi qualche aggiornamento più recente in merito ne sarei grato
quali sono le fonti artificiali principali di luce blu:
ad alta cromacità e coerenza
a larga banda ed emissione incoerente ed a alta cromaticità e coerenza
a larga banda ed emisione incoerente