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Vera progettazione illuminotecnica, intervista a Savetheclock

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Bentrovati cari amici, oggi si torna, tanto per cambiare, a bomba su un tema che mi sta particolarmente a cuore. Indovinate un po’? La progettazione Illuminotecnica.

Non vorrei sembrare ne’ pedante, ne’ ripetitivo, ma il tema è caldo, se ne parla parecchio, non solo su Luxemozione, ve lo posso assicurare.

In particolare noi Lighting Designer ci lamentiamo parecchio, spesso un po’ troppo, denunciando ogni volta la mancanza di cultura della luce e la scarsa conoscenza del progetto di illuminazione da parte di una committenza che in molti casi, facendo buon viso a cattivo gioco, si rivolge ad aziende o rivenditori richiedendo un servizio di progettazione che in realtà progettazione non è. (vi rimando per approfondimenti ad altri articoli)

In realtà questa committenza, tra cui spesso studi di progettazione (di architettura o ingegneria) dovrebbero ripassare per benino il significato di progetto in generale: la prassi della consulenza commerciale spacciata per progettazione non è relegata di fatto alla sola illuminazione, molto spesso alla progettazione in genere.

Oggi dunque, rimanendo in tema di “vera progettazione illuminotecnica” (così potrei intitolare una rubrica) , vi propongo una bella intervista ai fondatori dello studio di progettazione  SaveTheClock, alias  Claudia Giacomobello (CG) e Giovanni Liotta (GL).

Non vi anticipo nulla, ecco cosa mi hanno raccontato.

1)Per cominciare raccontatemi del vostro percorso formativo che vi ha portato , tra le altre cose, ad occuparvi di illuminazione.

CG: Ottima domanda. Si dice che la formazione sia la parte più importante di un percorso. È una frase che mi viene ripetuta da sempre. Oggi, con il senno di poi, posso solo condividere questa opinione. Ciò che siamo, ciò che facciamo, persino le modalità con cui operiamo, sono frutto di due percorsi formativi, che si sono incrociati, affiancati, separati e differenziati, nel tempo.

Io, ad una formazione umanistica (provengo dal liceo classico), ho fatto seguire 5 anni di laurea in Disegno Industriale presso il Politecnico di Milano. E qui ho conosciuto Giovanni…

GL: Ci siamo incontrati al primo anno, abbiamo imparato insieme cosa volesse dire “progettare” e, nonostante il nostro approccio alla materia sia completamente differente (sarà perchè io ho frequentato lo scientifico?!), sono 17 anni che ci confrontiamo per ottenere un risultato ottimale dalla combinazione delle nostre idee.

CG: Anche nel corso di studi abbiamo scelto indirizzi differenti. I primi tre anni (2 di prodotto e uno di lighting) li abbiamo frequentati insieme, poi, Giovanni ha continuato con l’illuminazione, mentre io sono stata ammessa al corso sperimentale avviato da Politecnico e Bocconi in design&management della moda. Sono sempre stata affascinata dall’aspetto strategico che c’è dietro ogni scelta progettuale e produttiva. Essendo curiosa di natura, dopo la laurea, ho deciso di frequentare un master in graphic design per la moda, mentre Giovanni ha iniziato ad affiancare due importanti designer (Carlo Forcolini e Giancarlo Fassina), imparando tutti i segreti dell’ingegnerizzazione di prodotto.

2)Poi nel 2008 avete deciso di unire le forze e di mettervi in proprio, tra l’altro con un approccio progettuale molto interessante, che approvo pienamente. Potete raccontare nel dettaglio?

CG: Si, dopo anni di gavetta presso altri studi, abbiamo deciso che era l’ora di spiccare il volo e provare a realizzare il nostro sogno: uno studio tutto nostro, che coprisse tutte le aree della creatività riunite sotto il nome di “design”. Come ci hanno insegnato al Politecnico, unendo le diverse competenze e conoscenze, abbiamo potuto creare una struttura in grado di soddisfare le specifiche esigenze di ogni cliente: dalla grafica agli allestimenti, dal prodotto al progetto illuminotecnico.

GL: Le nostre parole d’ordine sono diventate: interdisciplinarità e trasversalità. Abbiamo messo sul tavolo le nostre competenze e l’idea di una società in continua evoluzione. Il nostro studio, infatti, non ha dipendenti: è la nostra filosofia. Ci siamo noi (soci co-fondatori) e varie figure di professionisti freelance (architetti, grafici, fotografi, illustratori), che coinvolgiamo per lavorare in team quando necessario. In questo modo c’è un costante scambio di opinioni, tra persone con interessi, competenze, background differenti.

3)Quindi un approccio multidisciplinare che di fatto non può che dar valore alla soluzioni progettuali da voi proposte. Vi viene in mente qualche progetto in particolare nato appunto dalla collaborazione con altri professionisti?

GL: Ce ne vengono in mente tanti. Due in particolare. Una collaborazione nata per un progetto grafico a scopo benefico ed un’altra per la realizzazione della nostra prima lampada autoprodotta. Nel primo caso (dovevamo sviluppare un’immagine da stampare su delle magliette, la cui vendita avrebbe portato fondi per le famiglie vittime del terremoto in Emilia), abbiamo sfruttato l’occasione, per  confrontarci con degli ottimi illustratori siciliani. Il secondo progetto, che ci è rimasto nel cuore, ci ha visti collaborare con un amico e fornitore brianzolo.

CG: Due esperienze distinte e significative. Nel primo caso, c’è stato un confronto sull’interpretazione di un tema, sul modo di rappresentarlo e sulle tecniche da utilizzare. Il risultato è stato un unicum che né noi, né loro, da soli, avremmo potuto ottenere. La sintesi grafica di mondi e stili differenti. Nel secondo caso, c’è stato uno scambio di know-how. Abbiamo unito la nostra esperienza di lighting designer alle conoscenze del nostro “chimico di fiducia”, per dare vita ad una scultura luminosa: quadro di giorno e lampada di sera. Un prodotto custom, composto da 4 lastre di metacrilato (appositamente trattato per trasportare meglio la luce), tagliate al laser, sovrapposte e polimerizzate su tre livelli, per creare un pannello unico, in parte nero, in parte trasparente, con foglie d’oro sparse in uno spazio tridimensionale. Il tutto circondato da un profilo, da noi studiato a mo’ di cornice, contenente led lineari che, accendendosi, colpiscono le foglie d’oro, facendole brillare nell’immaterialità trasparente del metacrilato circostante. Il bagaglio conoscitivo di tutti è cresciuto, grazie a idee, prove sul campo, discussioni, verifiche…fino a portare al risultato finale.

4)Più nel dettaglio della progettazione illuminotecnica, leggevo sul gruppo di Facebook Lighting designer promotion group che avete da poco realizzato l’illuminazione per la Cappella di S.Monica presso la Basilica di S.Agostino in Campo Marzio a Roma, è corretto?

GL: Si, è corretto. È stato uno dei progetti che più ci ha entusiasmati. Impegnativo, affascinante. Ci ha permesso di portare la nostra esperienza ad un altro livello (in tutti i sensi).

Illuminare un luogo di culto significa confrontarsi con altezze davvero importanti, con opere d’arte di valore storico, artistico e sociale, con elementi simbolici ed esigenze specifiche, legate alla funzionalità ed alla spiritualità dello spazio.

La luce assume significati importanti, che vanno oltre il semplice dato funzionale del vedere. Essa è chiamata a favorire lo svolgimento delle liturgie, il raccoglimento dei fedeli, la lettura delle sacre scritture e, al contempo, deve sottolineare gli aspetti significativi dell’edificio, supportarne il valore.

CG: Ci siamo dovuti confrontare con vincoli strutturali, architettonici, normativi, artistici, rispondendo alle espresse richieste dei padri che gestiscono la Basilica e volevano rinnovare la Cappella.

Tutto è nato dalla richiesta di un “consiglio”: “cosa si potrebbe fare per valorizzare questa cappella? Per noi è molto importante: S.Monica è la madre di S.Agostino e qui sono custodite le sue reliquie. Spesso ci chiedono di celebrare messe per gruppi di fedeli, ma la luce è scarsa e non ci sono adeguati posti a sedere”.

Parlando con i monaci agostiniani, abbiamo compreso il valore storico, artistico e religioso della Basilica e della Cappella. Abbiamo apprezzato la ricchezza di questo edificio, la cui facciata è stata progettata da Leon Battista Alberti…il cui travertino proviene dal Colosseo…le cui volute laterali sono state aggiunte dal Vanvitelli. In questa bellissima chiesa, tra una pala del Caravaggio, un affresco di Raffaello, una scultura del Sansovino ed un altare disegnato dal Bernini, risaltava ben poco la Cappella di S. Monica, situata a sinistra dell’altare maggiore. Essa si presentava buia, con evidenti problematiche di abbagliamento ed inadeguate sorgenti predisposte per illuminare affreschi di grandi dimensioni.

Nonostante l’ultimo intervento fosse del 2001, le tecnologie presenti (fluorescenti per la volta e per l’urna, dicroiche ad incrocio per gli affreschi, candele per la pala) erano antiquate e comportavano alti consumi, eccessiva manutenzione e bassissimi flussi luminosi su opere d’arte, altare e pavimento.

GL: Per prima cosa abbiamo individuato le funzioni che la luce era chiamata a svolgere, poi, dopo una accurata ricerca storica sulla Basilica, abbiamo scelto gli elementi da valorizzare, le caratteristiche che gli apparecchi dovevano avere ed il loro posizionamento ideale. Infine abbiamo studiato tre diverse accensioni che permettessero di gestire l’illuminazione in maniera flessibile, a seconda dei momenti fruitivi della Cappella e delle specifiche esigenze da soddisfare.

Abbiamo redatto una relazione che spiegasse in termini tecnici e descrittivi l’intero progetto (con obiettivi, soluzioni adottate e motivazioni).

Infine, dopo l’approvazione, abbiamo seguito fornitura e cantiere: dalla stesura dell’elenco materiale, all’ordine; dalla messa in opera, ai puntamenti…non senza colpi di scena!

CG: Il primo è stato l’annuncio che il 28 agosto (eravamo a fine luglio e gli ordini non erano ancora stati confermati) Papa Francesco, in occasione del Capitolo Generale degli Agostiniani, avrebbe presieduto la celebrazione eucaristica presso la Basilica in Campo Marzio e, alla fine della liturgia, si sarebbe ritirato in preghiera nella Cappella di S.Monica, di cui è particolarmente fedele. ..A quanto pare, anche prima di diventare papa, ogni volta che si trovava a Roma, si recava in questa cappella per pregare da solo.

Il secondo colpo di scena (infarto se volete) è avvenuto al momento dell’installazione di tutti i prodotti. 8 agosto (giovedì). Fornitura effettuata in tempi record. Aziende in chiusura e…uno dei proiettori decide di non funzionare! Inutile descrivere gli attimi di fervore: telefonate su telefonate, burocrazie da velocizzare (ossimoro per eccellenza) e…lunedì 12 un nuovo proiettore era nelle nostre mani! cambio/reso effettuato in 2 giorni, ad agosto! …se non è stato un miracolo questo…

Il risultato lo facciamo giudicare a voi. Noi ne siamo orgogliosi.

Ecco qua la scheda progetto:

scheda progetto

5)Sempre parlando di progettazione illuminotecnica, a livello internazionale si sta lavorando assiduamente per il riconoscimento della professione di Lighting Designer. Qualche tempo fa un noto lighting designer Belga, attivo in questo processo, si domandava come sarebbero cambiate le cose se da domani il progetto illuminotecnico fosse obbligatorio. Voi cosa rispondereste, naturalmente nell’ottica del mercato italiano, dove di fatto al progetto illuminotecnico oggi non viene dato nessun valore?

CG: Purtroppo, ad oggi, in Italia, non viene dato abbastanza valore al progetto illuminotecnico. Alcuni  sostengono di avvertirne o comprenderne la necessità, ma… c’è grande confusione su cosa sia esattamente  un lighting project e su chi possa (o meno) fornire questo tipo di consulenza.

Il più delle volte, il cliente si affida all’installatore. Nei casi migliori, ad un architetto (“factotum”). In ultima ipotesi, direttamente a rivenditori o aziende produttrici, che offrono (a loro dire) progetti illuminotecnici gratis!

Il fatto è che l’illuminazione è una vera e propria materia a sé stante. Il progetto illuminotecnico non può essere improvvisato: non è frutto di decisioni puramente estetiche e non deve essere il risultato di scelte dettate da motivazioni economiche.

Spesso il cliente finale crede di “spendere meno” non pagando un progetto illuminotecnico, in realtà avviene esattamente il contrario.

GL: A noi è capitato svariate volte di essere contattati per cantieri già avviati: ciò che chiedono è  un “consiglio”. Il cliente ha già in mano un progetto, sviluppato dall’impresa o dall’azienda di turno (sempre grandi nomi, tra l’altro), e vuole un’alternativa, per paragonare concept, risultati e costi. Ascoltiamo le specifiche esigenze, analizziamo le funzioni d’uso degli spazi, applichiamo le teorie sulla psicologia della luce (creare percorsi, attirare attenzione, garantire comfort), verifichiamo le normative esistenti, elaboriamo un nostro progetto, effettuiamo le dovute verifiche illuminotecniche e, dopo aver studiato tipologia e posizionamento dei corpi illuminati, identifichiamo gli apparecchi più idonei presenti sul mercato (senza vincoli di marchio, magazzino, margini economici). Noi scegliamo solo ciò che ci garantisce il risultato ottimale. Incredibilmente, fino ad oggi, pur selezionando prodotti di altissima qualità, solitamente di ultima generazione, per essere al passo con le innovazioni tecnologiche, formali e di performance, abbiamo sempre battuto i progetti preesistenti.

Il perchè è semplice da capire.

Un elettricista guadagna sul numero di corpi illuminati installati. Tenderà, dunque, a prevederne il più possibile (magari economici e di scarsa qualità). A lui non interessa “creare atmosfere”, “garantire un certo numero di lux”, “prevedere lampadine con maggior durata di vita” (anzi, meno durano, più spesso verrà chiamato a fare manutenzione!).

Un’azienda (o un rivenditore) guadagna sia sul numero di corpi installati che sulla tipologia. Verranno, dunque, inseriti apparecchi da “promuovere” o “di cui liberare il magazzino”. Meglio un paio di apparecchi in più che in meno..e se un prodotto non è proprio “la scelta migliore”, è comunque “la scelta migliore possibile” (in base al proprio catalogo o alla propria disponibilità e ai propri margini di guadagno).

Un architetto non cela questi “doppi fini” dietro le proprie scelte, ma si trova ad operare in un campo che richiede un impegno a tempo pieno.

CG: Aggiornarsi sulle continue innovazioni che caratterizzano apparecchi e sorgenti luminose, essere sempre al passo con le normative, verificare di persona la qualità dei prodotti che ogni azienda mette ogni anno in produzione, avere contatti diretti con i produttori per customizzare (quando necessario) i corpi illuminanti o per affrettare tempi di consegna e risolvere ogni possibile problema di assistenza post vendita, è un lavoro: quello del lighting designer, appunto. Non si può improvvisare. Non basta scegliere una lampada perchè “è più piccola” o perchè “è scenografica”..Bisogna badare alla sorgente montata all’interno, al tipo di luce emessa, alla durata di vita, al calore sprigionato, ai consumi, all’efficienza, alla manutenzione…

Il lavoro del Lighting Designer è davvero impegnativo: inizia dall’ascolto del cliente e delle sue esigenze, si traduce in progetto attraverso un complesso processo tecnico-creativo, prosegue con la stima del budget, l’identificazione dei corpi illuminati, la stesura di un elenco materiale, la verifica degli ordini, e si conclude sul cantiere, affiancando l’installatore, risolvendo eventuali problematiche di montaggio, effettuando i puntamenti di ogni singolo apparecchio/sorgente luminosa.

La luce è la cosa più delicata, difficile e onerosa da gestire in un progetto. Rende le cose visibili o nascoste, gli ambienti accoglienti o freddi, è capace di influenzare la nostra percezione, il nostro giudizio, persino lo stato d’animo. Tu ci chiedi cosa cambierebbe se il progetto illuminotecnico fosse obbligatorio.. ti rispondiamo che “se il lighting project, sviluppato da veri progettisti illuminotecnici, diventasse obbligatorio, vivremmo in ambienti più armonici, saremmo colpiti dai famosi non-luoghi che oggi attraversiamo distrattamente, consumeremmo meno energia, sprecheremmo meno denaro e miglioreremmo realmente la qualità della nostra vita”.

6)Grazie per il vostro tempo e a presto.

CG GL: Grazie per l’intervista

Giacomo
Giacomohttp://www.rossilighting.it
Giacomo Rossi, architetto e lighting designer free lance, fondatore di Luxemozione.com. Dopo anni di attività nella progettazione della luce, fonda assieme ad altri colleghi LDT-Lighting Design Team , studio multidisciplinare di progettazione della luce. Alla progettazione affianca l'attività come docente presso il Politecnico di Milano e altre importanti scuole di architettura e design. tra cui IED Istituto Europeo di Design. E' inoltre autore di articoli su riviste del settore illuminotecnico. Dal 2014 è membro del Consiglio Direttivo di Apil-associazione dei professionisti dell'illuminazione.

1 commento

  1. Noi scegliamo solo ciò che ci garantisce il risultato ottimale. Incredibilmente, fino ad oggi, pur selezionando prodotti di altissima qualità, solitamente di ultima generazione, per essere al passo con le innovazioni tecnologiche, formali e di performance, abbiamo sempre battuto i progetti preesistenti.
    Mi intrometto in punta di piedi su questo argomento concordando impiego su una delle espressioni utilizzate in questa intervista, ovvierò che ‘le scelte devono essere orientate solo verso ciò che ci garantisce il risultato ottimale’ e con soddisfazione leggo che qualcuno oggi comincia ad apprezzare la qualità e non solo l’economicità di un progetto di luce. L’uso del termine ‘battuto’ lascia trasparire però che si tratta ancora di una guerra quella fra il merito e l’ignoranza collettiva del pubblico nei confronti della cultura della luce. Credo però che anche una valutazione in termini di cose fatte e non di sole cose dette potrebbe aiutare a rendere ancora più efficace una professione ancora bistrattata come quella del lighting designer. Mi ricordo ancora una frase sentita poche settimane fa da una ‘lighting designer’ molto nota nei salotti delle varie associazioni di illuminotecnica che diceva ‘noi non pensiamo ma funzioniamo lo stesso’. Devo dire che l’assenza di pensiero in un professionista che fa della percezione visiva e delle interazioni con la mente la sua mission progettuale mi lascia ancora oggi perplesso.

    Saluti

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