La crescente urbanizzazione e il conseguente aumento dell’utilizzo globale delle risorse energetiche, rende l’illuminazione notturna urbana un tema particolarmente rilevante, in un periodo di generale crisi economica e di tagli al consumo energetico. A fronte di questo cambiamento verso una generale decrescita, le città stanno cercando di riconfigurarsi e rinnovarsi con obiettivi di vivibilità urbana e sostenibilità che non vuol dire soltanto energia ed economia ma include un visione più ampia, sociale e culturale. La comunità europea sta lavorando per questi obiettivi grazie a tre azioni fondamentali: ottimizzare il riutilizzo delle risorse, creare nuovi servizi e infrastrutture flessibili e aumentare la responsabilizzazione sociale e il coinvolgimento dei cittadini[1]. Quest’ultimo punto si focalizza sul riconoscimento dell’importanza del cittadino nelle scelte progettuali di una città mediante un principio di progettazione dal basso verso alto, che includa la società civile nelle decisioni. Tale principio vuole recuperare gli errori progettuali che hanno caratterizzato l’urbanistica degli anni ‘50 e ‘60 e che hanno dato vita a città preconfezionate attraverso dei progetti calati dall’alto, senza umanità. Facendo un parallelo con la storia dell’illuminazione urbana, a partire dal XIX secolo, si può facilmente osservare che la luce della città si è evoluta ricalcando la stessa modalità imposta dell’autorità: l’illuminazione urbana è nata come rappresentazione del potere sociale di chi prende le decisioni e molto più raramente di chi vive la città [2]. Tanto era dispotica e autoritaria la lanterna appesa a simboleggiare l’occhio vigile del Re Sole sulle strade della Parigi del 1667, tanto inflessibile e cieco si presenta oggi il progetto della luce urbana dei cosiddetti Urban lighting Masterplan o i Piani della luce per la città (anche noti sotto il nome tecnico di P.R.I.C, Piano regolatore dell’illuminazione comunale) [3]. A partire dagli anni ottanta, in europa, il progetto della luce urbana è stato preso in considerazione da un numero sempre più elevato di città nel tentativo di creare un ambiente confortevole, interessante, e, allo stesso tempo, garantire la sicurezza pubblica e la vigilanza notturna. A questo, recentemente si sono aggiunte una serie di raccomandazioni per un’illuminazione urbana energeticamente efficiente onde evitare l’eccessivo dispendio economico delle ormai vuote casse municipali. L’approccio di pianificazione strategico e pragmatico del piano della luce necessita di una significativa mediazione tra interessi e problematiche diverse: integrandosi ai piani strategici di sviluppo dell’intera metropoli, esso segue le linee politiche ed economiche del Paese, rispetta le normative e le raccomandazioni in questione di illuminazione, si occupa di aspetti tecnologici,impiantistici e manutentivi per assicurare quella che viene considerata la “corretta” illuminazione urbana.
In tutto questo, molto spesso, la dimensione sociale dell’illuminazione, nelle sue diverse accezioni e caratteristiche viene spesso dimenticata: [3] il rischio che si corre è che il progetto diventi materia esclusivamente tecnica volta al raggiungimento della massima efficienza, figlio di calcoli illuminotecnici che rispondono ai pochi valori quantitativi delle normative e che riducono la progettazione della luce ad una serie di numeri e percentuali. Diversamente la qualità di un progetto è molto importante e soprattutto da questa dipende l’esperienza visiva e percettiva assicurata all’uomo nel navigare lo spazio urbano: la luce assicura la possibilità di utilizzare in maniera confortevole e sicura lo spazio, definisce l’immagine affettiva e l’attaccamento ad un luogo, ristabilisce il rapporto di fiducia tra il cittadino e lo spazio pubblico della città. L’intento di questo breve articolo è dunque “revisionare” il punto di vista della progettazione dell’illuminazione urbana e focalizzare l’attenzione sul cittadino e la stretta relazione che egli costruisce con la città.
Non si parla in astratto di possibili utopie o di visioni su un’illuminazione urbanistica futuribile ma di progetti reali, seppure sperimentali, presenti in tutta Europa. Infatti, una serie ormai nutrita di casi studio su piccola scala e di piani di sviluppo urbano hanno messo in evidenza il potenziale di un illuminazione inclusiva mediante partecipazione diretta dei cittadini finalizzata alla qualità dell’esperienza notturna. Attraverso questi eccellenti esempi viene messo in discussione lo stesso principio decisionista dei Piani di Illuminazione della città: al contrario la co-progettazione dell’illuminazione su scala locale, la collaborazione attiva della stessa micro-comunità urbana porta a nuovi progetti di luce flessibili, aggiornabili, open source.
In Italia, purtroppo, il tragico scenario che si sta lentamente prospettando è quello di spegnere le meravigliose città in attesa che un tecnico preparatissimo calcoli la prossima serie di lampioni altamente tecnologici da installare in un periodo economico più favorevole. Guardando all’Europa e alle città in cui la cultura della luce viene messa effettivamente in pratica, ci sembra ancora questa la strada da percorrere per ottenere quella sostenibilità e qualità di vita di cui tanto si parla?
Figura 1_I diversi aspetti della illuminazione urbana. Adattamento del grafico presentato da Keith Bradshaw, (Speirs + Major) durante il Lighting Symposium 2012 (Wismar)
L’importanza sociale della città notturna
Spesso ignorata dagli urbanisti, l’esperienza notturna di una città è un aspetto molto importante da progettare perché parte del modo in cui l’uomo percepisce la città; la luce artificiale è infatti l’elemento che trasforma l’immagine notturna urbana con conseguenze sociali, politiche, culturali ed economiche. [4]
Oggi, la città illuminata di notte non rappresenta l’immagine delle attività dei suoi cittadini: guardando le meravigliose immagini aeree riprese dal satellite, le città notturne appaiono nel loro intricato network di percorsi artificiali illuminati in maniera statica, senza una reale connessione con quello che le persone fanno nella città stessa. Queste mappe notturne sono descrizioni visive di un’illuminazione spesso sovradimensionata, statica e uniforme, per cui strade, vie, passaggi non sono differenziati e non sono illuminati quando effettivamente necessario. Sebbene infatti l’illuminazione urbana sia nata per accompagnare il passaggio nella città durante le ore più buie, oggi ha perso questo valore. Ripensando la lezione di Kevin Lynch [5], queste immagini descrivono una città fondata sull’importanza del livello architettonico illuminato senza alcuna connessione rispetto al livello sociale dello spazio stesso. Progettare un nuovo sistema di illuminazione urbana, diversamente, dovrebbe focalizzarsi sulla capacità di seguire la città che si trasforma durante le ore della notte: un sistema di illuminazione flessibile che si focalizza sugli scenari d’uso locali, sulle necessità delle comunità urbane, sui ritmi di vita delle singole strade, quartiere per quartiere, adattando i livelli e le caratteristiche della luce in base alle necessità.
Un meccanico copia incolla di lampioni altamente efficienti che sovrailluminano la strada non è probabilmente sufficiente a garantire comfort e sicurezza del cittadino che attraversa la città. Nella maggior parte dei casi, infatti, i progetti di illuminazione urbana sono messi in pratica attraverso riduzioni, semplificazioni e pedisseque applicazioni di norme da parte di preparatissimi tecnici. Il risultato è una generale uniformità degli interventi, una mistificazione della funzione stessa della luce nella città e dunque un appiattimento generale delle esperienze. [6] L’intervento professionale del lighting designer è visto ancora come elitario, una pratica da utilizzarsi in maniera occasionale per progetti che risultano efficaci ma che si perdono nell’immagine complessiva della città. Il risultato, purtroppo, è che un progetto di illuminazione urbana di qualità diventa l’eccezione e non la regola mentre, in realtà, ci sarebbe una quantità enorme di lavoro da fare soprattutto per garantire che la riduzione del consumo di energia non sia dannosa per l’esperienza umana e il deperimento della città stessa. Da questo punto di vista il piano strategico dell’illuminazione urbana risulta oggi uno strumento limitato, difettato e relativamente obsoleto sia per rispondere pienamente alla complessità della città sia per contribuire ad un’illuminazione di qualità su scala umana.
Prendere in considerazione la dimensione sociale della città è sicuramente un aggiornamento che potrebbe positivamente impattare sia la questione della sostenibilità sia l’immagine percepita dell’ambiente urbano stesso.[7] Un’indagine che parta dal basso verso l’alto è cruciale per comprendere l’immagine psicologica e simbolica percepita della città attraverso la lente delle aspettative, dei bisogni, dei desideri degli individui [8]. Il piano della luce urbana dovrebbe tenere in considerazione il paesaggio sociale della città, attraverso lo studio e l’analisi delle sue diverse molteplici identità, esplorando le informazioni del modo in cui i cittadini utilizzano la città, del tempo che vi trascorrono e dalle attività che vi intessono o che, si aspetterebbero di poter fare. [6]
In questo modo, sarebbe possibile restituire all’illuminazione urbana il suo scopo principale, ovvero accompagnare l’uomo dinamicamente e in maniera sostenibile nell’esplorazione notturna della città. La pratica della pianificazione urbana della luce necessita probabilmente di una revisione di intenti: non solo nuovi stimoli, input e contaminazioni dal basso ma anche una ristrutturazione strategica che renda il progetto maggiormente adatto alla complessità e alla flessibilità dell’organismo città.
Come suggeriva Christopher Alexander in A Pattern Language e The Nature of Order, [9,10], la progettazione dovrebbe ispirarsi al modo in cui si evolve il mondo naturale, una città “morfogenetica”: non creare, dunque, dei piani di illuminazione urbana nel tentativo di produrre delle macchine perfette che, inevitabilmente, avranno dei problemi perché rigide e non in grado di essere flessibili ai cambiamenti umani e sociali. La città, in qualità di organismo, si modifica continuamente, si espande e contrae, si evolve in maniera del tutto non pianificata; a fronte di questo, l’illuminazione pianificata ai piani superiori fallisce, non perché carente dal punto di vista tecnico, ma perché non capace di adattarsi. Un nuovo modo di progettare l’illuminazione urbana dovrebbe essere costruito secondo un’infrastruttura portante che consente al sistema di adattarsi alle necessità locali attraverso un processo incrementale in cui gli stimoli evolutivi vengano dal basso. Secondo questo punto di vista è il progetto di illuminazione che si adatta alle persone e non viceversa. Come? Proprio attraverso la partecipazione dei cittadini, l’inclusione nelle diverse fasi progettuali e mediante un coinvolgimento collaborativo nell’evoluzione stessa del progetto. Ma effettivamente cosa vuole dire dimensione sociale nella progettazione della luce della città? Quali strumenti possono essere utilizzati, secondo quali modalità, con quali obiettivi e vantaggi nelle varie fasi del progetto? Data la complessità del progetto di luce per la città, la domanda che ci si pone è se i cittadini debbano essere effettivamente coinvolti e se siano preparati a prendersi tale responsabilità. Esempi concreti, ispirazioni, casi studio e progetti pilota già applicati in Europa stanno già concretamente rispondendo a queste domande. È dunque giunto il tempo di prendere esempio e lasciarci ispirare ad una pratica più democratica e più qualitativa della luce in città?
Riferimenti
[1]EUROPEAN COMMISSION, Directorate-General for Communications Networks, Content and Technology, Sustainable and Secure Society, Smart Cities and Sustainability, (2012) Smart Cities Plenary Session Report, ICT Competitiveness Week, 17-20 September 2012;
[2] Schivelbusch, W. (1995) , Disenchanted Night, The Industrialization of Light in the Nineteenth Century ISBN: 9780520203549.
[3] P.R.I.C, Piano di Regolazione dell’Illuminazione Comunale, , accesso al sito il 23/10/2012
[4] Ong Swee Hong, (2007). Design Basis to quality lighting urban masterplan, National University of Singapor.
[5] Lynch, K. (1960). The image of the city. Cambridge, MA: MIT Press
[6]Köhler, D. , Sieber R. (2012). The role of lighting masterplans, PLD magazine n.82, February /March.
[7] LUCI (2007) Charter on Urban Lighting, Promoting a culture of sustainability in lighting, accesso al sito il 16 03, 2012, http://www.luciassociation.org/
[8] Amendola, G. (2009). Il progettista riflessivo, Scienze sociali e progettazione architettonica. Laterza, Bari.
[9] Alexander C. (1977) A Pattern Language. Oxford University Press.
[10] Alexander C. (1987) New Theory of Urban Design. Oxford University Press.
Tema interesante e intrigante.
Con qualche ma:
– i cittadini per intervenire su questo tema devono essere consapevoli e minimamente formati, altrimenti si riduce tutto al solito slogan “+ luce=+sicurezza”, che in questi giorni sentiamo tristemente declamare in tutte le salse, quasi sempre senza cognizione di causa alcuna
– le nostre città vanno riilluminate, ma fuori dalle città va spento molto che nulla ha a che fare con qualità della luce e fruibilità, ma solo con spreco ed enorme inquinamento luminoso (ed è questo il “core” del provvedimento governativo che non è stato colto quasi da nessuno…)
– i piani della luce OGGI sono l’unica alternativa al far west, certo sono migliorabili e “umanizzabili”, ma senza di questi rimane l’arbitrarietà del singolo amministratore o progettista (dove c’è), che illuminana dove i cittadini chiedono o dove ha interesse, senza alcuna riflessione in merito.
Saluti
Andrea
Gentile Andrea,
sono d’accordo: la questione del coinvolgimento dei cittadini è controversa.
Dal momento che la pubblica illuminazione è, per sua natura, complessa,
ovviamente, non è compito dei cittadini tenere a mente tutto, soprattutto
visto che non sono dei tecnici e neanche dei progettisti.
Ma proprio per questo, il loro apporto, nelle varie fasi della progettazione di un Piano di Luce (o di un distretto che li riguarda) potrebbe essere utile per ottenere una molteplicità di punti di vista e soprattutto per un progetto condiviso.
Il coinvolgimento dei cittadini è, dal mio punto di vista, importante per due motivi:
uno perchè li porta a riflettere in maniera critica e responsabile sulla questione dell’illuminazione urbana; due perchè le scelte che sembrano più sensate (aumentare l’illuminazione per ottenere più sicurezza) non sono magari quelle che emergerebbero da una partecipazione condivisa e INFORMATA della società civile.
In ogni caso, concordo, non è così facile ma, allo stesso tempo è cosa fattibile e già praticata in molte città Europee. Chissà che non si riesca a fare una prova anche in Italia.
Saluti,
Daria
Grazie Daria della risposta, magari tutti gli attori su questo tema fossero capaci di ragionare pacatamente e argomentando come Lei, invece qui in Italia le fazioni e le lobby sono sempre in azione (si veda ad esempio la vicenda della nuova pessima norma UNI sull’illuminazione stradale…).
Buon lavoro
Andrea
Complimenti.
Bellssimo articolo.
Spero veramente che presto si possa pensare all’illuminazione delle città in maniera del tutto differente da oggi: oggi si installano punti luce per interessi politici, economici, personali e solo raramente per fare del bene ai cittadini … ma poi sono solo i cittadini a pagare!!
Ciao
Matteo